Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio: la Corte di giustizia si pronuncia sul caso Garlsson

Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio: la Corte di giustizia si pronuncia sul caso Garlsson

Con la sentenza Garlsson Real Estate SA dello scorso 20 marzo 2018 (C-537/16) la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla compatibilità con il principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza delle disposizioni dell’ordinamento italiano che puniscono l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione di mercato.

In particolare, era controverso se l’applicazione congiunta della sanzione penale prevista dall’art. 185 T.U.F. con la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 187ter del TUF potesse costituire un cumulo di sanzioni aventi carattere sostanzialmente penale, e dunque contrario al principio del ne bis in idem.

Il rapporto tra le due disposizioni in relazione al divieto di ne bis in idem (in relazione all’art. 4 del VII protocollo alla CEDU) era stato già in precedenza oggetto della sentenza Grande Stevens della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (4 marzo 2014).

In quell’occasione, la Corte EDU aveva qualificato entrambe le sanzioni come aventi carattere sostanzialmente penale ed aveva pertanto condannato l’Italia per aver proseguito il giudizio penale anche dopo la conclusione del procedimento amministrativo con il quale la CONSOB aveva irrogato agli imputati nel giudizio penale la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 187 ter TUF).

La Corte EDU aveva poi ribadito che nel divieto di ne bis in idem ricadono soltanto le ipotesi di cumulo di sanzioni aventi – a prescindere dalla qualificazione interna –  carattere sostanzialmente penale, da valutare caso per caso alla luce dei criteri elaborati dalla Corte nella sentenza Engels (qualificazione giuridica dell’illecito nell’ordinamento nazionale, natura dell’illecito in relazione ai beni giuridici tutelati e alle condotte in concreto oggetto punite e grado di severità della sanzione applicata).

Anche la Corte costituzionale era stata investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 117 ter TUF e dell’art. 649 c.p.p. in relazione al divieto di ne bis in idem (per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione al parametro interposto rappresentato dall’art. 4 del VII Protocollo alla CEDU) nella parte in cui avrebbero permesso il cumulo di una sanzione amministrativa alla sanzione penale già in precedenza irrogata o la prosecuzione del giudizio penale anche oltre la conclusione del procedimento amministrativo di irrogazione della sanzione pecuniaria.

La questione era stata però dichiarata infondata con la sentenza n. 102/2016.

La Corte costituzionale aveva infatti ritenuto che la Corte EDU non avesse ritenuto contrario al divieto di ne bis in idem il cumulo di una sanzione amministrativa ed una sanzione penale, ma che si fosse limitata ad affermare il divieto di promuovere nei confronti della medesima persona un nuovo procedimento penale dopo la conclusione di un precedente giudizio penale avente ad oggetto la medesima condotta.

In altre parole, secondo la Corte costituzionale, il divieto ne bis in idem non avrebbe avuto carattere sostanziale ma eminentemente processuale, con la conseguenza che: “esso permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti tra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro.”

Proprio a seguito di tale pronuncia, la Corte di Cassazione, che aveva provocato il giudizio di costituzionalità concluso con la sentenza n. 102/2016, ha promosso un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, avente ad oggetto la compatibilità col diritto dell’Unione (e segnatamente con le disposizioni della direttiva 2003/6/CE di cui gli art. 185 e 187 ter costituiscono il recepimento e dell’art. 50 della Carta di Nizza) delle norme nazionali che “consentono di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico”.

La Corte di giustizia ha richiamato a tale proposito la propria precedente giurisprudenza che, pur ispirandosi alle pronunce della Corte EDU in relazione al divieto di ne bis in idem, ha con maggior chiarezza riconosciuto il carattere anche sostanziale di tale principio, giungendo ad affermare che l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali UE vieta il cumulo sia di procedimenti penali sia di sanzioni da considerare di natura penale ai sensi di detto articolo per i medesimi fatti e nei confronti della stessa persona (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, punto 34), impregiudicata la competenza del giudice nazionale nel valutare il carattere sostanzialmente penale delle sanzioni basandosi sui criteri della sentenza Engels.

La Corte di giustizia ha però rilevato che l’art. 52, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali consente eventuali limitazioni ai diritti ed alle libertà riconosciute, nella misura in cui siano previste dalla legge e rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà.

In altre parole, ad avviso della Corte sarebbero ammesse eccezioni al ne bis in idem nella misura in cui siano conformi ai principi di proporzionalità e adeguatezza, e siano dunque finalizzate a perseguire un obiettivo di interesse generale e non eccedano quanto strettamente necessario al perseguimento di tale obiettivo.

Ha così ritenuto che, in linea di principio, può ritenersi compatibile il cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale, a condizione che: (i) tale cumulo sia giustificato dal perseguimento di un obiettivo di carattere generale riconosciuto; (ii) preveda norme chiare e precise che consentano a un soggetto di comprendere quali atti e omissioni possano costituire oggetto di un tale cumulo di procedimenti e sanzioni; (iii) garantisca ce gli oneri risultanti dal cumulo di sanzioni siano limitati allo stretto necessario per realizzare gli obiettivi di interesse generale (cfr. sentenza Garsson, punti 46 ss.).

Tale valutazione deve essere effettuata nel caso concreto, nel senso che deve essere valutato di volta in volta se la pena già eventualmente irrogata sulla base di una disposizione sanzionatoria sia idonea a reprimere il reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva (e dunque non sia legittima la prosecuzione del procedimento volto all’irrogazione della sanzione prevista da altra norma nazionale) oppure se possa essere giustificato il cumulo di altra sanzione, la quale tuttavia – a prescindere dai limiti edittali previsti dalla norma nazionale – non potrà eccedere quanto strettamente necessario a conseguire gli obiettivi di interesse generale (in questo senso, sentenza Garlsson, punti 58-63).

Sulla base di tali considerazioni la Corte ha dunque risposto alla questione sollevata dal giudice a quo nel senso che: “l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.”

(a cura di Bruno Barel e Francesco Foltran)

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